FORUM: Varie |
12/01/2013 14:36:51 - Intanto in Portogallo...(lungo, ma drammaticamente reale) - (Daniele Borriero) |
> >Abbiamo avuto anni e anni - la globalizzazione è iniziata negli anni 70 - per capire come differenziarci. Le nazioni più evolute hanno investito in conoscenza e ricerca, hanno cercato di creare delle barriere, dei fattori distintivi che potessero proteggerle da questa prospettiva. Noi abbiamo fatto il contrario, abbiamo gozzovigliato fino alla fine come se niente fosse. All'estero si studiava e si lavorava, qui si compravano le squadre di calcio. > >Oggi, imprese e lavoratori si trovano fuori mercato. I loro prodotti, i loro metodi di produzione, le loro competenze sono uguali, se non addirittura peggiori, di quelle dei loro omologhi nei paesi emergenti. Di chi è la colpa? > Anche da noi si studiava, le nostre università scientifiche sono state tra le più apprezzate all'estero, prima della riforma: per decenni abbiamo preparato studenti che hanno portato le loro capacità altrove perché qui non trovavano spazio. La VW non sarebbe nulla senza il genio di Giugiaro e l'apporto tecnico degli italiani, fino ai tempi più recenti con De Silva. Perché la Fiat, che realizzava negli anni 60 fabbriche chilometriche a Togliattigrad, ora chiude gradualmente in Italia? Perché la Olivetti non è diventata la Apple http://www.linkiesta.it/olivetti-steve-jobs? Perché le nostre industrie farmaceutiche sono state assorbite da quelle straniere? Credo che la nostra classe imprenditoriale in simbiosi con quella politica abbiano ben compreso la portata reale della globalizzazione fin dai tempi più remoti, interpretandola però con il classico spirito italico del "carpe diem". Fin che la produzione riservava sufficienti utili, è andato tutto bene. Col ricambio generazionale, gli imprenditori che succedevano, magari formatisi più che nei reparti come i loro nonni e genitori, nelle università di economia, trovavano più consistenti margini di guadagno in altri settori o cedendo l'attività. E' il caso per esempio dei bot-people, tra cui negli anni 80 figuravano molte aziende che non investivano più in ricerca e sviluppo, ma si accontentavano di facili rendite. Opportunità regalata agli inizi degli anni 80 dalla scissione tra Banca d'Italia e Tesoro, amministrata tra gli altri da un giovanissimo Mario Monti. Già, lui ha sempre, a differenza di altri, guardato al futuro, ponendo i pilastri per quello che ora sta avvenendo. Un edificio la cui costruzione è durata decenni, e del quale pochi se ne erano accorti, distratti da teatrini politici più o meno interessanti e ammaliati da un'Europa che solo ora sta mostrando il suo vero lato, quello di un mercato gestito dalle multinazionali. Dopo i bot, ci fu la volta della Borsa. E così capitali che sarebbero stati più proficuamente investiti in aziende che avrebbero dato occupazione sono finiti sui mercati finanziari. Non furono pochi quelli poi che rilevavano quelle aziende decotte, ricevevano aiuti dallo stato e poi chiudevano. Poi ci sono stati gli imprenditori furbi, quelli che diversificano, quelli che delocalizzano. Ci sono i Benetton, i Tronchetti Provera... Accanto a loro le multinazionali, gli azionisti delle stesse, i mercati... E sotto di loro tutti noi, ai quali viene detto di rimboccarci le maniche fino a 70 anni per 1000 euro al mese, giunture permettendo... Tutto quello che dicevano ben più di 10 anni fa quelli che allora venivano chiamati dalla stampa mainstream "no global" si è avverato. Significa che le analisi erano puntuali, e significa che quanto sta avvenendo non è "per caso", ma esiste una volontà, la stessa che ci ha costretti ad aderire al "fiscal compact", che ci ripete all'infinito che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, etc. Che cosa voglio dire? Voglio dire che continuando su questa strada, con questa classe politica, priva di idee e ideologie, pronta e prona ad assecondare i "capitali" o la Potenza di turno http://www.unita.it/mondo/amico-berlusconi-salvami-l-ultima-lettera-di-gheddafi-1.345507, con una classe imprenditoriale che non trova più rilevante investire in Italia, noi italiani non andremo da nessuna parte. Le differenze sociali aumenteranno, creando una polarizzazione della società insanabile per decenni, e l'Italia per anni non potrà sollevarsi. L'Italia fa gola ai mercati perché molti italiani sono ancora benestanti, e soprattutto perché nel settore sanità/pensioni/energia/trasporti le multinazionali hanno un solo ostacolo, le aziende pubbliche, che però presto saranno, causa crisi, messe sul mercato. Il resto non esiste: dato l'euro, dato il WTO (con la Cina come membro), non c'è storia: l'Italia è un paese indifendibile, che però consentirà lauti guadagni ai pochi che gestiranno le risorse da svendere. Se questa viene considerata un'opportunità, voglio ricordare che anche in guerra ci fu chi si arricchì. |
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