FORUM: San Donato

31/08/2012 11:32:40 - San Donato è una città “senza luci” - (Fabrizio Cremonesi)
Gli impianti di illuminazione scorretti comportano, sempre più spesso, problemi anche alla sicurezza della circolazione stradale o disturbo alla normale vita di relazione per l’uomo. L’eccesso di luce provoca sul mondo vegetale e animale (avifauna), nonché sugli stessi esseri umani, danni alla salute e alla sopravvivenza. Veniamo così a scoprire che numerosi studi di settore, condotti da prestigiosi Istituti di ricerca sparsi in tutto il globo, hanno ormai acclarato, e siamo solo all’inizio, una serie di patologie riconducibili allo scorretto uso della luce artificiale. In un interessante studio condotto da Ron Chepesiuck, pubblicato nel 2009 su “Envinromental Healt Perspectives” dal titolo “Missing the dark – Healt Effects of Light Pollution”, si parla diffusamente dei danni provocati dalla luce artificiale su varie forme di vita. In pratica questa tende ad alterare il ritmo circadiano (dal latino circa e dies) degli esseri viventi di qualsiasi specie. Le prime vittime delle smanie luminose della nostra società ipertecnologica che spinge tecnici ed amministratori, ma anche comuni cittadini, all’uso sempre più irrazionale e ingiustificato della luce, sono le piante. Ciò per una ragione naturale connessa alla loro stessa esistenza, la fotosintesi clorofilliana. La presenza di illuminazione artificiale, specie con lunghezze d’onda blu e violette, tipiche delle sorgenti a luce bianca, altera la loro capacità di svolgere correttamente questa funzione sconvolgendone così il ciclo di vita.
Infatti queste basano la loro vita sulla ricezione di luce (solare) durante il giorno con produzione di ossigeno e assorbimento dell’anidride carbonica che viene poi rilasciata durante la notte. Ad esempio gli alberi che si trovano lungo le strade cittadine sono affetti dal problema del fototropismo, nel senso che le loro chiome tendono ad orientarsi verso le sorgenti di luce. Come se ciò non bastasse lo stress indotto dalla luce notturna comporta anche il riscaldamento delle foglie favorendo così l’aggressione da parte degli insetti. Questo costringe i comuni all’aumento della manutenzione per la potatura e la disinfestazione estiva (da insetti).
Per questo motivo sarebbe opportuno, specie in zone a forte presenza arborea, come parchi e giardini, limitare durata, potenza e spettro dei flussi luminosi. Da questo punto di vista commettono un grave errore i rivenditori di piante che illuminano a giorno i loro vivai per giunta con luce quasi sempre bianca. In alcuni casi, per errori di progettazione, i lampioni si trovano in mezzo agli alberi e, per effetto del fototropismo, entro pochi anni gli stessi vengono assaliti ed oscurati dallo sviluppo delle ramificazioni nella loro direzione. In tal modo si verifica un danno alle piante per l’evidente alterazione del ciclo vitale riducendo la luce inviata a terra dai lampioni con la creazione di ampie zone di buio. In ogni caso si ribadisce che la luce a spettro più ridotto, come quella emessa dalle lampade al sodio, si dimostra meno invasiva rispetto quella delle lampade agli ioduri metallici o a LED con alta temperatura di colore (oltre 3000 K). Quindi anche qualora i comuni o privati dovessero propendere per quest’ultime sorgenti sarà opportuno spingere verso quelle a luce più calda possibile.
Salendo nella catena evolutiva sono stati riscontrati danni anche al mondo animale; tra le prime vittime insetti e uccelli (ma non solo). I primi destinati a morire, a milioni, arrostiti sui vetri roventi dei fari che illuminano specialmente facciate di palazzi e monumenti. Ciò è dovuto al fatto che, in genere, questi tipi di impianti mandano la luce verso l’alto e risultano visibili da grandi distanze e dall’alto così richiamando gli ignari esserini verso il loro calore.
Anche le falene, ad esempio, utilizzano, per il controllo della rotta migratoria la luce, sia della Luna che delle stelle. Il notevole inquinamento luminoso sviluppatosi negli ultimi 30 anni è causa ormai dello sterminio di intere specie di lepidotteri come accertato anche da uno studio di Albert Hausman in alcune zone industriali del sud Italia.
Per quanto concerne invece gli uccelli la problematica si esplica su almeno due livelli. Il primo comporta, per molte specie, la perdita di rientamento nel corso delle rotte migratorie quando transitano nei pressi degli agglomerati urbani. È ormai pacifico che gli uccelli riescono a riconoscere le stelle e la forma delle costellazioni (un po’come fanno i naviganti). E’ ovvio che, sorvolando zone fortemente illuminate, vengano fuorviati dalla luce abbagliante delle città che rivaleggia e sopravanza quella sempre più debole del firmamento. Anche in questo caso limitare il flusso luminoso diretto che viene disperso verso l’alto può aiutare in quanto sono più dannosi i singoli punti luce visibili dall’alto che le superfici riflettenti delle strade che, non essendo puntiformi, non possono essere confuse con le stelle.
Per esempio si è calcolato che, nella sola città di New York, ogni anno almeno 10000 volatili si schiantano contro le vetrate dei grattacieli i cui interni sono illuminati durante la notte, così richiamando la loro attenzione.
Per limitare il problema senza però risolverlo negli ultimi anni, e solo nel periodo migratorio, vengono spenti gli ultimi piani dei grattacieli al fine di consentire il passaggio indisturbato degli stormi. Cionondimeno secondo una stima approssimata almeno 100 milioni di uccelli ogni anno trovano la morte in questo modo in tutto il nord America.
Un’altra trappola per i volatili è l’illuminazione potente e, spesso, estremamente dispersa degli aeroporti (come Malpensa 2000 per rimanere in Italia). In alcuni casi i pennuti, richiamati e disorientati dal bagliore, volteggiano sulle piste andando a collidere con gli aeroplani o, talvolta, infilandosi nelle turbine dei motori, con tutti i rischi che ne derivano.
Gli studiosi della Stazione ornitologica svizzera di Sempach sono giunti a questa conclusione studiando l’impatto dei fari che illuminavano, a fini pubblicitari, la ferrovia del Jungfrau.
Non miglior sorte è quella che attende molte specie di tartarughe marine che, attratte dalla luce intensa e non schermata delle riviere, invece di dirigersi verso il mare, dopo la schiusura delle uova, vanno a morire sulle strade.
In questo senso molto valore hanno assunto gli studi effettuati da E. Blaire Whiterington sulle abitudini della Caretta (tartaruga verde) e della Chelinia mydas (tartaruga di mare).
Ancora una volta quindi ci rendiamo conto che la limitazione dell’inquinamento luminoso non è un’ossessione dei soli astrofili ma una problematica che ormai coinvolge, dalla radice e in tutte le direzioni, l’intero ecosistema in cui viviamo.

Tutte le specie viventi sulla Terra sono fortemente influenzate dall’alternanza del giorno e della notte. Infatti, l’assenza di notti buie e la presenza di una eccessiva illuminazione artificiale notturna possono sconvolgere in modo violento il ritmo circadiano del corpo umano, in quanto vi è una maggiore quantità di fotoni che colpiscono la retina dell’occhio, come confermato da Richard Stevens, epidemiologo all’Healt Center di armington dell’Università del Connecticut. Senza considerare, il collegamento tra questo scompenso e altri disturbi alla salute, come depressione e stress psico-fisico.
L’illuminazione notturna, specie se con elevato contenuto di luce blu, come nelle lampade agli alogemuri (o ioduri) metallici e nei LED bianchi, anche di modesta intensità, inibisce la produzione naturale di melatonina nell’uomo. La melatonina è un ormone che ha dimostrato effetti oncostatici per alcuni tipi di cancro. La sua assenza o diminuzione nel sangue di notte può comportare uno sviluppo più veloce per certi tumori. (Per approfondimenti si possono leggere: Kloog I, Haim A, Stevens RG, Portnov BA (2009) Global co-distribution of light at night (LAN) and cancers of prostate, colon and lug in men, Chronobiol Int; 26 (1): 108-25. Navaara,
K., J., Nelson, R., J., (2007) The dark side of light at night: physiological, epidemiological consequences. J. Pineol Res:43:215-224).


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