>Ovviamente non stiamo parlando di questo caso, ma la funzione "sociale" dei negozi di quartiere, in cui il comune interviene per fornire spazi ad affitto calmierato, la ritengo ancora importante.
Molti commercianti si sono arricchiti oltre misura negli anni passati. Molti di loro hanno accumulato ingenti patrimoni personali. Oggi vendono i loro negozi agli extracomunitari che hanno voglia di lavorare. L'Incontro di via Moro è un esempio: la pizzeria degli egiziani, la pasticceria siciliana dei rumeni e il market dei cinesi. Resiste il panettiere-gioielliere, dove un francobollo di pizza costa 4 euro (con qualche euro in più fai un pranzo completo dalla pizzerie egiziana e i proprietari non mi sembrano degli straccioni).
>L'alternativa è lasciare fare al mercato, che ha già scelto: grandi centri commerciali fuori dai centri abitati, negozi chiusi nei centri urbani, telecamere per "dare sicurezza" ai quartieri dormitorio in cui sopravvivono solo banche e pizzerie.
E' qui che ti sbagli. Non è "il mercato" che espropria i terreni e minaccia gli amministratori con una pistola alla tempia se non danno le autorizzazioni. E' proprio l'amministrazione pubblica che favorisce e incentiva i centri commerciali, che, peraltro, sopperiscono a loro mondo alle mancanze cittadine. Dove possono andare una coppia di anziani a san donato a vedere due negozi e fare la spesa d'inverno o d'estate? O abitano in via Libertà, o devono prendere l'auto, trovare parcheggio, etc. Il centro commerciale, per quanto non mi piaccia, sopperisce alla mancanza di un centro nelle nostre non-città.
> Certe attività, dall'edicola al negozio di alimentari, fino alla libreria o al ciclista, ormai non hanno più possibilità di sopravvivere al mercato e sempre meno ne avranno in futuro.
Ce l'hanno, eccome, e gli stranieri ce lo insegnano. Certo, è probabile che la figura del commerciante con 10 appartamenti si estingua.
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