C'è però un problema di fondo posto dall'evasione fiscale. Quei 120 miliardi evasi ogni anno sono comunque risorse che vengono immesse nel sistema economico e usate per consumi e investimenti, quindi in ultima analisi per sostenere l'occupazione. Se le stesse risorse finissero allo Stato che le rimette in circolo, il monte di risorse circolante resterebbe lo stesso. Sarebbe solo un cambio di applicazione. Invece avviene che lo Stato usa una parte delle tasse per finanziare il proprio debito, cioè per remunerare gli investitori che finanziano il debito pubblico (attività meritoria ma non senza vantaggi), sottraendole alla ricchezza pubblica e agli investimenti. Viene quasi da concludere che gli evasori fiscali siano dei benemeriti che sostengono i consumi e l'occupazione mentre lo Stato è l'avido sceriffo di Nottingham che impoverisce i suoi sudditi. Questo alibi degli evasori fiscali è rafforzato dalla convinzione diffusa, in parte confermata dalle cronache, che parte del bilancio dello Stato finisca in sprechi e corruzione. Se le nostre tasse finiscono in tasca ai faccendieri e nei conti correnti alle Bahamas, allora il piccolo negoziante che non rilascia lo scontrino e con le tasse non pagate ci compra un'auto nuova non è più così criticabile, anzi è quasi meritorio. Dunque la lotta al'evasione fiscale non va fatta solo mandando i finanzieri nei negozi, ma anche con una seria lotta alla corruzione e agli sprechi, per togliere ogni alibi morale agli evasori. Chi vorrà vincere le prossime elezioni dovrà evitare di proporre nuove tasse e non dovrà insistere tanto sulla lotta all'evasione fiscale, ma proporsi invece di recuperare le risorse mancanti da una lotta agli sprechi e alla corruzione. Finché l'opinione corrente è quella di uno Stato sprecone e corrotto, pagare le tasse sarà visto come un obbligo da rispettare, ma l'evasione fiscale non così esecrabile. |