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È il momento della serietà (lungo)  (mes #99844)
di Luigi Verdicchio il 25/10/2012 13:33:47

messaggio letto 573 volte
(1 risposta)

in risposta a Sergio Solimena (mes. #99754)
Caro Sergio,
sui diritti non credo ci sia molto da aggiungere, oltre a confermare il dettato costituzionale.
Io non ritengo, quindi, che ogni legge o clausola contrattuale del passato, come del futuro, siano da ritenere diritti acquisiti e inalienabili.

Le norme e le regole sono figlie dei tempi, sempre nella speranza che siano sempre più favorevoli ai lavoratori, ed è giusto che i Sindacati puntino ad ottenere il massimo possibile. Ma guai se in uno sconvolgimento come è quello in corso non ci siano anche nei lavoratori le giuste consapevolezze e quindi quelle flessibilità che aiutino a conservare quanto più lavoro possibile e a superare le crisi.
Alcune aziende sono più esposte alla concorrenza, mentre altre vanno forti nell’esportazione e sono quelle che, nonostante tutto, ci consentono in qualche modo di galleggiare.
Per questo disapprovo la rigidità della CGIL e apprezzo la maggiore ragionevolezza della CISL e UIL.
Concordo sull’assoluta urgenza di un piano industriale e, mi risulta che l’attuale governo ci stia lavorando. Non sappiamo se avrà il tempo per portarlo a termine.

Mi rimproveri di “tirare sempre in ballo i Comunisti”, ma non è colpa mia se la loro presenza in Italia è stata utile solo in parte, mentre ha cagionato molti guai e ritardi alla crescita democratica dell’Italia, di cui la CGIL - FIOM è, ancora oggi, l’esempio più eclatante di un conservatorismo ideologico (vedi lotta di classe) che potrebbe riportarci indietro nel caso il prossimo governo fosse troppo allineato sulle sue posizioni.

Articolo 18 –
Non nascondiamoci la verità. Le aziende devono costituire sempre più un corpo unico con i propri dipendenti - collaboratori. È ciò che avviene nelle nazioni dove nel dopo guerra vi è stata una sinistra socialdemocratica e non comunista.

Quando si dice non si può licenziare senza giusta causa, mi chiedo se sia giusto che un dipendente sia tutelato da una legge anche nel caso non operi con il dovuto impegno o addirittura remi contro gli obiettivi dell’azienda.
Ovviamente casi del genere sono rari, ma credo che la modifica che introduce la liquidazione economica ne confronti di quel dipendente non sia, per le suddette considerazioni, proprio scandalosa. Tutto ciò, ovviamente, se si ha a cuore non solo la tutela a priori del posto di lavoro, ma anche la produttività dell’azienda, che è condizione indispensabile affinché essa sopravviva e continui ad assicurare il lavoro.

Ma torniamo a cose ancora più gravi, quale è la situazione economica e capire il comportamento del governo Monti.
Ritengo sbagliato l’approccio che molti hanno nell’analizzare la crisi. Ci si dimentica o forse non si è ancora compreso cosa sia avvenuto in questi ultimi anni, per cui imputiamo al medico curante la malattia stessa insorta ben prima dell’inizio della cura.

Siamo in questa situazione perché LA POLITICA HA FALLITO nei suoi compiti primari. In Europa tutti hanno risentito della crisi ma solo la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia si trovano in recessione negativa.
Non è il caso di riesumare le cause del nostro debito pubblico, vediamo invece di capire il perché non si è fatto nulla o abbastanza per affrontarlo ben prima dell’insorgere della crisi finanziaria americana e della crisi dell’euro. È dovuto intervenire il Presidente della Repubblica ad evitare che il fallimento della politica determinasse il fallimento della economia nazionale.
La responsabilità maggiore è indubbiamente dell’ultimo governo Berlusconi, avendo determinato la perdita di credibilità dell’Italia sui mercati di tutto il mondo e di fronte agli stessi nostri partner dell’eurozona.
Ma non dimentichiamo anche il fallimento del governo Prodi che dovette alzare bandiera bianca a meno di metà legislatura (2007) per avere dato vita ad un governo che comprendeva tutto l’anti berlusconismo, da Clemente Mastella a Paolo Ferrero.
Già alle elezioni del 2006 avevamo davanti l’esempio tedesco del 2005. La CDU aveva vinto le elezioni con poco margine rispetto all’SPD (esattamente come avvenuto per la coalizione di Prodi).

Merkel e Schroeder, leaders della destra e sinistra moderata, capirono che il miglior servizio che potevano rendere al loro paese era la formazione di un governo di unità nazionale. Governo che rimase in carica l’intera legislatura (4 anni) e fu in grado di varare riforme impopolari, ma decisive per affrontare la epocale trasformazione dell’economia mondiale avviatosi con l’entrata della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (2001).

Come poteva il bipolarismo italiano, consistente in due contenitori che raccoglievano ogni forma dell’estremismo di sinistra e di destra, rissoso e dedito alla reciproca, incessante delegittimazione, percorrere la saggia strada tedesca?
Il fallimento della politica, cioè della sua capacità di governare per il bene del paese, è derivato dunque anche dal bipolarismo all’italiana.

Così la crisi mondiale e dell’euro ha aggredito un’Italia con un altissimo debito pubblico ed evasione fiscale, una criminalità organizzata fra le più potenti al mondo e una corruzione diffusa in tanti settori della politica, dell’industria e del mondo civile. In queste condizioni l’Italia sarebbe andata incontro a gravissime difficoltà economiche, occupazionali e sociali, anche se non fosse esplosa la crisi dell’Euro. Da oltre quindici anni, peraltro, la nostra economia non cresceva.
Una politica sana e lungimirante ci avrebbe salvato in tempo prima che l’Italia si trovasse ad elevato rischio default.

È a questo punto che è stato chiamato Monti e alla politica, se aveva ancora un briciolo di senso dello stato, non restava che sostenerlo.
Per arrestare il rischio incombente il Governo non poteva che dare il segnale immediato che l’Italia era in grado d’invertire la tendenza. E sono stati richiesti enormi sacrifici, rispetto ai quali oggi Napolitano afferma:
«Non abbiamo fatto tutto quello che abbiamo fatto in questi ultimi 12 mesi per poi buttarne via i benefici. Se cambiassimo rotta adesso, a che pro sacrifici, tasse e riforme?». E poi: «Oggi il rigore non rappresenta una scelta, ma una necessità. Non è fine a se stesso». Perciò indietro non si torna. O almeno, questo auspica il presidente della Repubblica.

http://archiviostorico.corriere.it/2012/ottobre/24/Napolitano_non_sprechiamo_sacrifici_co_0_20121024_859afb02-1d9a-11e2-a8a7-0ee5b6561448.shtml

Se avessimo avuto buon senso di seguire l’esempio tedesco, in una legislatura (2006/2011), forse avremmo evitato la cura estremamente drastica che ha dovuto praticare Monti.
Il rigore, nel primo tempo, non può che accrescere la depressione economica, ma la messa in ordine dei conti, come detto, è un esigenza indispensabile se vogliamo tornare a crescere. I giudizi che sentiamo in continuazione, secondo i quali Monti avrebbe fallito perché in questi mesi si è accentuata da decrescita della nostra economia, sono insensati e comprensibili solo se enunciati da parte delle forze che hanno puntato al propria azione politica sul populismo spicciolo che è poi fra le principali cause del fallimento della politica.

Il Governo tuttavia ha incominciato a cercare nei meandri degli sprechi e della spesa meno utile le prime risorse per dare qualche incentivo allo sviluppo. Molto potrà fare sul piano delle semplificazioni, della maggiore produttività, della ricerca (in un recente provvedimento si è intervenuti sui settori della ricerca), ecc.
Ma non dimentichiamo che apparteniamo all’unione economica e monetaria europea, quindi è da essa che dovranno venire importanti contributi di azioni e risorse economiche.

Non credo sia necessario ricordare l’indiscutibile merito che Monti ha avuto nell’azione che ha saputo sviluppare in Europa e nel contesto internazionale. Bisogna tornare molto indietro per ritrovare uno statista che goda degli apprezzamenti di cui è fatto segno Monti.

In questi giorni il Governo sulla legge di stabilità mi pare abbia dimostrato chiare aperture all'accoglimento di proposte migliorative dei partiti e del parlamento e del mondo civile e industriale. Proposte, ovviamente, che non devono alterare il saldo economico del provvedimento.
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