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E se non fosse solo timidezza ? Incontro sul Mutismo Selettivo  (mes #105164)
di Giorgio Soave il 09/05/2013 17:13:21

messaggio letto 935 volte
(1 risposta)

in risposta a Daniela Germani (mes. #105155)
Per alleggerire un po' l'argomento, prova a leggere questo articolo del 2003.
L'introversione è assolutamente normale.

"Per favore state zitti"

Conoscete qualcuno che ogni giorno ha bisogno di passare alcune ore da solo ? Che adora le conversazioni tranquille in cui si parla di sentimenti o di idee, e magari è brillantissimo quando parla di fronte a un grande pubblico, ma nelle occasioni sociali e nelle conversazioni più banali sembra imbarazzato e a disagio ? Uno che va a una festa solo se ce lo trascinate, e poi gli ci vuole mezza giornata per riprendersi ? E voi, se conoscete una persona così le dite che “è troppo seria” ? Le chiedete se si sente bene ? La considerate scostante, arrogante, maleducata ? Raddoppiate gli sforzi per tirarla fuori dal suo guscio ? Se avete risposto sì a queste domande probabilmente avete per le mani un introverso e non gli riservate le cure opportune.
Negli ultimi anni la scienza ha scoperto molte cose sulle abitudini e le esigenze degli introversi. Ha inoltre scoperto, grazie a indagini sul cervello, che gli introversi elaborano le informazioni in modo diverso dalle altre persone (non me lo sono inventato io). Se su questo importante argomento siete rimasti un po’ indietro, tranquillizzatevi: non siete i soli. Gli introversi sono tanti, ma sono anche una delle categorie più incomprese e maltrattate.
Io ne so qualcosa. Mi chiamo Jonathan e sono un introverso.
Naturalmente l’ho negato per anni. In fin dei conti, in società me la cavo bene. Non sono un musone né un misantropo. Di solito. Sono tutt’altro che timido. Adoro le lunghe conversazioni in cui si discute a cuore aperto di pensieri intimi o interessi appassionati.
Ma un giorno ho finalmente capito chi sono davvero e sono uscito allo scoperto con amici e colleghi. Così facendo mi sono reso conto di essermi scrollato di dosso una quantità di stereotipi negativi e sbagliati. E adesso sono qui per dirvi quello che dovete sapere per trattare i vostri parenti, amici e colleghi introversi con la necessaria sensibilità e comprensione. Ricordate, fra le persone che conoscete, rispettate e con cui interagite ogni giorno c’è un introverso, e probabilmente lo state facendo soffrire. E’ utile saperlo riconoscere.

Che cos’è l’introversione ? Nella sua accezione moderna, il termine risale agli anni venti e fu i introdotto dallo psicologo Carl Jung. Attualmente quello di introversione è fra i concetti chiave su cui si basano i test sulla personalità, tra cui il diffuso Myers-Briggs Type Indicator. Gli introversi non sono necessariamente timidi. In situazioni sociali, le persone timide sono ansiose o spaventate o autodenigratorie; gli introversi generalmente no. Inoltre noi introversi non siamo misantropi, anche se talvolta siamo d’accordo con la definizione di Sartre: “L’inferno sono gli latri a colazione”. Piuttosto, gli introversi sono persone che trovano gli altri stancanti.
Gli estroversi traggono la loro energia dal prossimo e quando sono da soli sbiadiscono, appassiscono. Spesso si annoiano da sé e di sé. Lasciate da solo un estroverso per due minuti e vi accorgerete che comincia a frugarsi addosso alla ricerca del telefonino. Noi introversi invece, quando siamo socialmente “accesi” da un paio d’ore, abbiamo bisogno di spegnerci e di ricaricarci; per esmpio con me vale la formula: “Due ore da solo per ogni ora di socializzazione”. Ma questo non significa essere asociali, non è sintomo di depressione e non richiede trattamenti farmacologici. Per gli introversi starsene soli con i propri pensieri è un ristoro come il sonno e un nutrimento come il cibo. Il nostro motto è: “Sono tutti simpatici. Ma a piccole dosi”.
Quanti sono gli introversi ? Ho svolto una vasta ricerca, interrogando rapidamente Google. La risposta è: circa il 25%. Oppure: poco meno della metà. O ancora (è la mia preferita): la minoranza della popolazione normale, ma la maggioranza dell apopolazione dotata.
Gli introversi sono incompresi ? Tremendamente. A quanto pare, è il nostro destino. Per un estroverso è difficilissimo capire un introverso. Per gli introversi invece è facile capire gli estroversi, perché quasti dedicano molto del loro tempo a cercare di capire chi sono, e lo fanno con lunghe, e spesso inevitabili, interazioni con il prossimo. In altri termini gli estroversi hanno scarsa o nulla comprensione di cosa è l’introversione. Loro partono dal presupposto che la compagnia – specie la loro – sia sempre gradita. Non riescono a immaginare perché mai qualcuno possa avere bisogno di starsene per i fatti suoi, anzi spesso se qualcuno glielo suggerisce se la prendono. Ho tentato molte volte di spiegare questo punto agli estroversi, ma non ho mai avuto l’impressione che lo capissero davvero. Mi ascoltano un istante e poi tornano a parlare a raffica come al solito.
Gli introversi sono oppressi ? Direi proprio di sì. Tanto per cominciare, gli estroversi sono sovrarappresentati nella professione politica, in cui soltanto i loquaci sono veramente a loro agio. Prendiamo George W. Bush, oppure Bill Clinton: sembrano veramente vivi solo quando sono in compagnia di altre persone.
Di conseguenza la vita pubblica è dominata dagli estroversi, ed è un peccato. Se il mondo fosse comandato da noi introversi, sarebbe certamente molto più equilibrato, tranquillo e pacifico. Come disse il presidente Coolidge (uno dei pochissimi introversi che hanno raggiunto le sfere dell’alta politica): “quattro quinti di tutti i nostri guai sparirebbero se ci limitassimo a stare fermi e seduti”. Sembra che abbia detto anche: “Se non dici nulla, nessuno ti chiederà di ripeterlo”. Ripetersi è l’unica cosa che il vero introverso detesta più che parlare di sé.
Con il loro appetito insaziabile di conversazione e attenzione, gli estroversi dominano anche la vita sociale, e quindi tendono a decidere per gli altri. Nella nostra società “estroversocentrica” essere espansivi è considerato normale e quindi desiderabile: vi si scorge un segno di felicità, fiducia in sé, capacità di esercitare la leadership. Gli estroversi sono visti come persone generose, vivaci, calorose, piene di comunicativa. E’ un complimento dire di qualcuno che è fatto per stare con gli altri. Invece gli introversi sono definiti con termini come “chiuso”, “solitario”, “riservato”, “taciturno”, “ripiegato su se stesso”, “poco espansivo”, termini ingenerosi, che suggeriscono parsimonia affettiva e piccineria di carattere. Sospetto che ne soffrano specialmente le donne introverse. In alcuni ambienti, a volte un uomo può ancora impunemente presentarsi come quello che un tempo si definiva “un tipo forte e silenzioso”. Ma le donne introverse, non disponendo di questa alternativa, tendono ancora più degli uomini a essere considerate timide, chiuse e scostanti.
Gli introversi sono arroganti ? Neanche per sogno. Questo diffuso pregiudizio è legato, credo, al fatto che siamo più intelligenti, più riflessivi, più indipendenti, più equilibrati, più raffinati e più sensibili degli estroversi. Inoltre è dovuto probabilmente alla nostra avversione per le conversazioni spicciole, un’avversione che gli estroversi scambiano spesso per sdegnosità. Noi tendiamo a pensare prima di parlare.
Il peggio è che gli estroversi non hanno la minima idea dei tormenti che ci infliggono. A volte, mentre annaspiamo nella nebbia della loro conversazione al 98 per cento priva di contenuto, ci domandiamo se gli estroversi si diano mai la pena di ascoltarsi. Eppure li sopportiamo stoicamente, perché i trattati di buone maniere- scritti sicuramente da estroversi – considerano maleducato chi rifiuta di parlare a vanvera e goffo chi lascia dei vuoti nella conversazione. Possiamo solo sognare che un giorno, quando il nostro modo di essere sarà studiato e compreso meglio, quando forse sarà nato e darà frutti un movimento per i diritti degli introversi, non sarà più assurdo dichiarare: “Guardi, io sono un introverso. Lei è una persona fantastica e molto simpatica. Ma adesso per favore, stia zitto.”

Jonathan Rauch
The Atlantic Monthly, Stati Uniti
Ripreso da Internazionale 1.91, 6 Giugno 2003
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