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Su Ichino, Monti: perché non sono d'accordo con entrambi (mes #101187)
di Mirco Rainoldi
il 26/12/2012 18:31:11
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messaggio letto 577
volte
(1 risposta)
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in risposta a Sergio Solimena
(mes. #101182)
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Premetto che sono da anni un estimatore del Prof. Ichino (forse lo avrete capito da qualche post che ho scritto su vari argomenti) che nelle primarie del centrosinistra ha apertamente sponsorizzato Matteo Renzi di cui apprezzo la maggior parte delle proposte avanzate durante la campagna pre-consultazioni nella sfida con Bersani. Mi permetto quindi di aggiungere qualche considerazione sull'interessante tema che hai avviato prendendo qualche spunto anche dal libro "Inchiesta sul lavoro - Perché non dobbiamo avere paura di una grande riforma" scritto da Ichino alla fine del 2011. Per meglio comprendere il pensiero di Ichino è opportuno sottolineare che prima di diventare Professore di Diritto del Lavoro alla Statale di Milano ha ricoperto il ruolo di dirigente della Fiom-CGIL e in seguito è stato eletto deputato nel Parlamento italiano per il PCI.
>1) - una drastica semplificazione normativa e amministrativa in materia di lavoro. Un corpus di regole più semplice, più snello, che non sia una barriera ma una carta da giocare con chi vuole investire e creare lavoro nel Paese. Senza perdere niente in garanzie di sicurezza dei lavoratori o tutela dei diritti;
Ovviamente questo è il caposaldo del pensiero di Ichino e credo che nessuno possa sollevare dubbi o essere in disaccordo sulla dichiarazione di principio formulata che fa da impalcatura alle successive enunciazioni.
>2) - il superamento del dualismo tra lavoratori sostanzialmente dipendenti protetti e non protetti;
Su questo punto il Professore fa riferimento solo ai lavoratori dipendenti (e non quindi ai liberi professionisti come qualcuno potrebbe intendere). In particolare i dipendenti vengono categorizzati in quattro classi: serie A) lavoratori subordinati regolari e stabili (14 mensilità, premio di produzione, mensa, previdenza complementare ecc.) - serie B) i cosiddetti subordinati (all'epoca co.co.co, poi dopo la legge Biagi "lavoratori a progetto") fanno sostanzialmente lo stesso lavoro di quelli di serie A, ma con una retribuzione inferiore non garantita in caso di malattia e minori diritti (nessun TFR, contributi previdenziali più bassi, nessun benefit ecc.) - serie C) collaboratori continuativi autonomi a cui viene imposta l'apertura della partita IVA (fingono di essere liberi professionisti, pagano maggior imposte, devono sottostare a diversi adempimenti amministrativi e si pagano i contributi) - serie D) gli stagisti, attirati con una prospettiva di futuro ingaggio, lavorano gratis o con "rimborso spese" di poche centinaia di euro e nella maggior parte dei casi, finito lo stage vengono lasciati a casa senza nemmeno un grazie, essendoci altri laureandi o neolaureati disposti a sostituirli. Detto ciò è possibile affermare che in Italia c'erano circa una decina di milioni di lavoratori dipendenti che l'art. 18 non lo vedevano nemmeno con il binocolo (questi ultimi serie B, C e D Ichino li definisce "non protetti").
>3) - ridurre a un anno al massimo il tempo medio del passaggio da un’occupazione all’altra rendendo più fluido e sicuro il passaggio dei lavoratori dalle imprese in crisi o comunque meno produttive a quelle più produttive o comunque in fase di espansione;
Su questo punto il Professore fa riferimento al modello scandinavo. In quei paesi sin dagli anni sessanta la sicurezza dei lavoratori è garantita da politiche di sostegno ed assistenza alle famiglie e ai lavoratori nella fase di passaggio da un'occupazione all'altra (forte protezione sociale). E' del tutto evidente che questo modello però costa molto caro in termini economici ed oggi lo Stato italiano non ha una lira, quindi da noi potrebbe essere difficilmente applicabile nel breve periodo. Come riconosciuto dallo stesso Ichino per rendere operativo un tale modello nel nostro paese occorrerebbe decisamente molto tempo (questo progetto era stato presentato in Parlamento dallo stesso Ichino come disegno di legge 11/11/2009 n. 1873 con il nome di "Semplificazione e flexsecurity").
>4) - coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale dei lavoratori nel mercato del lavoro;
Su questa indicazione rimando alle considerazioni del punto precedente confermando che detta situazione è ad oggi attuata in Danimarca, Svezia e Norvegia.
>5) - spostare verso i luoghi di lavoro il baricentro della contrattazione collettiva, favorendo il collegamento di una parte maggiore delle retribuzioni alla produttività o alla redditività delle aziende attraverso forme di defiscalizzazione, come avvenuto nell’accordo firmato dalle parti sociali nell’ottobre scorso. > Su questa proposta non possiamo evitare di nominare Marchionne anche se a qualcuno può far venire qualche mal di pancia. Qui Ichino propone di liberare la contrattazione collettiva dal vincolo centralistico che oggi la soffoca. Lo ha già fatto qualche anno fa la Germania, che è stata per decenni la patria del centralismo contrattuale. In Italia ne avremmo bisogno ancora di più rispetto alla situazione tedesca date le disuguaglianze interne (Nord e Sud) che caratterizzano il nostro paese. Oltretutto la contrattazione nazionale limita, in qualche misura, la concorrenza imprenditoriale in quanto nessun concorrente può trarre vantaggio competitivo sperimentando una struttura retributiva o sistemi di inquadramento professionali diversi o personalizzati per la propria azienda rispetto allo standard contrattualmente previsto dal settore in cui opera.
Come ho anticipato, quanto ho riportato è in buona parte ripreso dal citato libro (che invito caldamente a leggere) del Prof. Ichino. Ritengo quindi che le considerazioni riportate esplichino meglio le concise proposte riportate nel suo sito. Ringrazio comunque chi si è già espresso sul forum su questo argomento e chi lo farà in seguito, in quanto considero il tema del lavoro come uno dei pilastri portanti su cui dovrà muoversi celermente il nuovo Governo per garantire una ripresa economica su basi solide. |
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