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nè eletti, nè elettori  (mes #96194)
di Luca Isabella il 05/06/2012 15:45:16

messaggio letto 418 volte
0 risposte

in risposta a Luca Isabella (mes. #96145)
Relativamente ai sempre difficili rapporti tra la Repubblica Italiana e la Chiesa:

Cavour, fin dal 1850 si era messo in luce pronunziando un discorso in difesa delle leggi Siccardi che abolivano il diritto d'asilo e il foro ecclesiastico ancora in vigore dall'età medioevale nel Regno di Sardegna.

Formato nel 1852 il "grande ministero" con Urbano Rattazzi, si era proposto di modernizzare il Piemonte laicizzando lo Stato ma dovette scontrarsi nel 1855 con i clericali piemontesi guidati dal vescovo di Casale e senatore, Luigi Nazari di Calabiana contrario alla soppressione degli ordini contemplativi al punto da causare una crisi politica che provocò le dimissioni del primo ministro.

Ritornato al governo dovette affrontare un nuovo contrasto con i clericali, questa volta sostenuti dal re Vittorio Emanuele II, per l'introduzione del matrimonio civile in Piemonte che sarà attuato diversi anni dopo.

Lo stesso Nazari di Calabiana, nominato arcivescovo di Milano, dopo l'unità d'Italia, nel 1864, si distinguerà per le sue polemiche contro gli intransigenti antiliberali.

Fin dal 1857 era comparso sul giornale torinese l'Armonia diretto dal giornalista don Giacomo Margotti l'esortazione diretta ai cattolici: «Né eletti. né elettori».

Non meraviglia quindi che,sebbene lo Stato italiano dichiarasse di rinunciare a ogni controllo giurisdizionalistico, tuttavia i tentativi di regolare i rapporti con la Chiesa secondo la formula cavouriana di «Libera Chiesa in libero Stato», effettuati dallo stesso Cavour tramite il suo collaboratore Diomede Pantaleoni, e in seguito dai primi governanti della Destra storica, fallissero per l'intransigenza del rappresentante papale.

Non ancora intransigenti ma cattolici di stretta osservanza, tra il 1861 e il 1878 i credenti italiani si appartano dalla vita nazionale e si esprimono in giornali dal tono estremamente polemico.

« Lentamente s'instaura quel costume, che durerà decenni e decenni, fino alla prima guerra europea per cui il cattolico politico ha associazioni professionali..circoli..scuole cui inviare i figli, esclusivamente suoi, forma una società chiusa e riduce gli incontri con persone che non dividano la sua fede al minimo possibile »
(Arturo Carlo Jemolo. Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni. Torino, 1948)

La data di nascita in Italia del clericalismo coincide con l'emanazione del Sillabo (1864) di papa Pio IX (1846-1878) che, considerandosi "prigioniero dello stato italiano", condannava ogni aspetto del liberalismo e del modernismo dando vita così al movimento degli «intransigenti» cattolici che rifiutavano di riconoscere il nuovo Regno d'Italia.

La Chiesa tuttavia, sente la difficoltà di non avere nel Parlamento del Regno d'Italia suoi rappresentanti ed emana una disposizione nel 1866 che consente l'elezione di deputati cattolici purché nel formulare il giuramento allo Stato essi aggiungano, alla presenza di almeno due testimoni, la formula: «salvis legibus divinis et ecclesiasticis» ("salvo quanto dispongono le leggi divine e della Chiesa").

La Camera ritenne nullo il giuramento e da quel momento la voce dei deputati cattolici fu quasi assente dalle aule parlamentari.

Questa chiusura della Chiesa influì negativamente sulla politica italiana post-unitaria, acuendo il forte anticlericalismo di gran parte dei politici italiani del tempo.
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