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 lunedì 30 dicembre 2024 Ore: 17:05

SAN DONATO MILANESE

Le cascine della città

CASCINA BAGNOLO

Bagnolo” Borgo dimenticato
San Donato è stata nel passato un paese agricolo, un paese delle cascine. Grazie all’interesse di un nostro concittadino di Poasco, Luciano Ardemagni, andiamo alla scoperta di una di queste:Cascina Bagnolo. Un racconto ricco di storia e di aneddoti per non dimenticare il passato di queste terre e per preservare nella memoria di tutti noi un patrimonio culturale molto importante. Ogniqualvolta passo da Bagnolo e vedo quel complesso cascinale che sta raggiungendo l’apice del degrado, che cade sempre più in rovina, non posso fare a meno di pensare a quanti là hanno vissuto e alla sua storia quale centro di una certa importanza nella zona. Bagnolo prende questo nome per una caratteristica degli antichi romani; in questo luogo infatti sorgevano alcune ville romane, ed è noto che i romani amavano contornarsi di alcuni servizi come i bagni pubblici, e gli storici indicano proprio in questa presenza la derivazione del nome di questa località.

La sua posizione era strategica: infatti essa viene a trovarsi non molto lontana dalla via Emilia, strada consolare di primaria importanza, e sorge quasi a ridosso del canale denominato Vettabia, che veniva alimentato da tre fiumicelli che scorrevano
fuori dalla città di Milano: il Seveso, il Nirone, il Vepra o Vedra. In periodo romano le acque erano elemento importante ed erano gestite dai procuratori di Cesare, i quali avevano sotto di loro tutta una serie di lavoratori: ingegneri-architetti, i commissari speciali, i custodi o campari per ciascun canale.Sembra anche che in periodo romano la Vettabia fosse un canale percorso da alcuni loro navigli.

È comunque certa l’importanza che i romani attribuivano alla gestione delle acque e dei ponti costruiti su fiumi e canali che dovevano risultare efficienti. Poco discosto da Bagnolo v’era il borgo di Rovegnano (Ravagiano o Roveniano), ora Chiaravalle, che lo sorpasserà come fama per l’avvento della nota Abbazia, ma ancora nel 1139, nel contratto stipulato tra quello che era il primo complesso monastico ed Eufrasia (badessa del monastero di Santa Maria di Orona) per l’acquisto da parte dei frati di alcune terre, si parla di “Monastero di Bagnolo”, in quanto con tutta probabilità ci si riferiva a un centro edificato di maggior rilievo. Il vecchio fondo romano di Bagnolo era piuttosto variegato.

 

Si trattava prevalentemente di grandi spazi boschivi ed acquitrinosi per le tante risorgive o fontanili, e disseminati qua e là alcune grange (fattorie) con terreni messi a cultura e vigneti. La zona avrebbe negli anni subito una profonda trasformazione con l’avvento dei cistercensi dei quali non si possono omettere dei precisi riferimenti tanta è stata la loro opera in tutta l’area. È noto che la città di Milano, grata per la mediazione positiva di San Bernardo, nei conflitti di potere dell’epoca, si era impegnata ad erigere un monastero e che i primati del Broletto acquistassero, nel 1135, delle cascine in Rovegnano. La Regola di San Bernardo (e di San Benedetto) elevava il lavoro alla dignità di atto religioso e culturale, imponendo un preciso cambiamento in linea con i tempi e le necessità degli umili. In contrasto con la mentalità degli antichi romani, i quali consideravano il lavoro un supplizio di schiavi. Sono ben chiari nella Regola i tempi della giornata, fra i quali quelli dedicati al lavoro . Prescrivendo questa poi la povertà singola e collettiva, era necessario che si avesse tanta terra quanta ogni frate poteva lavorare da sé per mantenersi; la vita spirituale richiedeva luoghi abbastanza isolati per favorire una vita contemplativa e questa ampia zona incolta era l’ideale. Fu così, pian piano, per l’accrescersi del numero dei novizi, che queste terre f urono bonificate e messe a cultura, e per necessità di nuove terre venivano vendute quelle marginali rese produttive per l’acquisto di appezzamenti più grandi incolti. Anche i frati conoscevano l’importanza dell’acqua, di cui divennero grandi esperti ed ebbero molti attestati di stima per aver risolto problemi anche al di fuori delle loro terre. Si rileva già nel 1138, da una pergamena di acquisto di vari prati “zerbi” e boschi, che i monaci li avrebbero irrigati con acque di loro pertinenza tratte dalla Vettabia. Ma per assicurarsi il pacifico uso di quelle acque, gelosamente custodite, i monaci ottennero una sovrana dichiarazione di conferma di quei diritti, riconfermati da Federico II, nel 1226. Per dire della preziosità dell’acqua, i frati dovettero in ogni tempo difenderne la giurisdizione. Bagnolo era un villaggio dotato di chiesa parrocchiale e i suoi abitanti conducevano una vita tipicamente agricola. La presenza confinante dei frati influì in modo rilevante sulle loro conoscenze di coltivazione, in quanto la sapiente distribuzione delle acque con il sistema a “marcite”, consentiva di avere un fresco e abbondante alimento per il bestiame tutto l’anno o la vendita di foraggio, in quanto se ne produceva fino a 10 tagli all’anno. Ma vi fu anche un aumento della produzione dei cereali e tutto ciò portò una immensa ricchezza. Quella quantità di foraggio poi consigliò l’utilizzo delle bergamine (vacche da latte), e con esse sorsero i caseifici e si produssero oltre gli stracchini e il burro anche il grana; le cronache raccontano ad esempio che nella cascina Tecchione si produceva il cacio (grana).

Le cronache parlano ancora di Bagnolo nel XIII secolo (il luogo viene sminuito d’importanza chiamandolo Bagnolo di Chiaravalle) per una cosiddetta setta di eretici che si facevano chiamare “Credenti di Bagnolo”. Erano certamente quelli tempi difficili, di potere e complicate liturgie, ambizioni ed anatemi e le forme eretiche erano o si vedevano ovunque. La stessa congregazione degli Umiliati, che esisteva già nel 1213 presso l’Abbazia di Viboldone, si dice sortisse dalle conventicole eretiche legate alle tradizioni catare ed arnaldesche;c’è chi la riteneva di origini Valdesi.

 Nemmeno la mediazione papale infatti servì a far chiarezza o a riportare queste sette alla ortodossia .Parallelamente ai “Credenti di Bagnolo”, l’Abbazia di Chiaravalle fu oggetto di investigazione da parte dell’Inquisizione per il caso di Guglielmina Boema e Maifreda da Pirovano, dove l’abate Paolo di Besana dovette faticare non poco per uscirne indenne. Sullo sfondo della vicenda le lotte di supremazia locale fra due conventi come quelli di Chiaravalle e quello dei Domenicani di Sant’Eustorgio che esercitavano l’inquisizione ed anche i contrasti fra gli orgogliosi signori di Milano e papa Bonifacio VIII. Mainfreda infatti era cugina di Matteo Visconti, signore della città, e badessa del Convento delle Umiliate e riteneva che una donna valesse esattamente quanto un uomo, quindi non era disposta a sottomettersi né a un marito, né a un prete; preferì piuttosto salire sul rogo. Le vicende storiche vedono la zona teatro di battaglie, depredazioni, di occupazione straniera fino all’avvento di Napoleone che confischerà i beni ecclesiali e mentre il complesso dell’Abbazia di Chiaravalle verrà venduto, la Chiesa passerà sotto la parrocchia di Bagnolo, confermando così il legame storico di queste due località. Ora non sembra giusto che Bagnolo sparisca nel nulla e di esso non rimanga che un cumulo di pietre, si potrà ben salvare qualcosa a imperitura memoria?

articolo tratto dal giornalino san donato di ottobre 2004

 

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