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 lunedì 22 luglio 2024 Ore: 16:30

SAN DONATO MILANESE

LE ACQUE A SAN DONATO
una grande risorsa con qualche apprensione
 

Introduzione

San Donato Milanese è nata tra le acque e le paludi e in pochi anni è cresciuta e si è abbellita in un ricco paradiso di verde, dal quale oggi emergono canali di irrigazione e laghetti, testimoni di un ritorno alle origini. E’ una magnifica oasi del Sud-est milanese, delimitata a oriente dal fiume Lambro, importante affluente del Po, e attraversata da una roggia storica, la Vettabbia, e dal Cavo Redefossi, che ricevono da nord una parte delle acque del torrente Seveso, nobilitate dal transito nei meandri sotterranei di Milano.

Anche il Sud-est milanese, come tanti altri luoghi, soffre il suo, seppur modesto, rischio idrogeologico, che fortunatamente non è motivato da movimenti franosi o da dissesti morfologici, né tanto meno da seri terremoti e neppure dalle acque potabili, che sono di ottima qualità e non danno problemi di sorta, in quanto provengono da serbatoi naturali profondi, oltre i 120 metri, e ben protetti da inquinamenti, di cui risentono invece le acque esposte al contatto con l’ambiente esterno. Il rischio idrogeologico di San Donato è rappresentato invece dalla vivacità e dalla imprevedibilità delle acque che costituiscono la prima falda sotterranea, nonché dalle intemperanze dei corsi d’acqua superficiali, fiume Lambro in testa. Queste acque sono una preziosa risorsa e sono l’anima di San Donato Milanese e delle campagne che la contornano, ma sono anche motivo di apprensione e di qualche disagio; la città si trova infatti in prima linea, a diretto contatto con il fiume Lambro, costretta a difendersi dai suoi frequenti eccessi idraulici, in particolare le temute esondazioni e nello stesso tempo è impegnata a controllare attentamente i movimenti della falda sotterranea, sempre pronta a minacciare l’invasione del territorio sovrastante.

A Linea tratteggiata i limiti dei fontanili

Evoluzione piezometrica della falda nel periodo 1950-2000

Falda acquifera e manufatti tra il 1950 e il 1996

Risalita della falda dal 1972 al 1997 lungo la  sezione da Milano a Melegnano

A rendere ancora più precaria la sicurezza idraulica del luogo si aggiungono le elevate permeabilità dei terreni arginali del Lambro, che indubbiamente facilitano la comunicazione tra le acque fluviali e la contigua falda acquifera; ne consegue che le variazioni di portata del fiume influenzano la dinamica della superficie freatica e quindi ogni piena o esondazione del fiume si traduce normalmente in un impulso verso l’alto delle acque di falda, con la tendenza di queste a conquistare nuovi spazi da inondare, come già ripetutamente è accaduto nel passato.

In pratica, cos’è la falda freatica: è un immenso corso d’acqua sotterraneo, dotato di un lento movimento da monte verso valle (nel nostro caso, da nord-ovest verso sud-est); la superficie della falda è detta anche “piezometrica” e la profondità di questa rispetto al suolo è chiamata “soggiacenza

 

La falda acquifera

Nei decenni scorsi la falda del Sud-est milanese è stata oggetto, come vedremo, di alcune importanti fluttuazioni,che hanno causato pesanti ripercussioni sulla popolazione e sull’ambiente.
Ricordiamo un po’ di storia locale della falda: per lungo tempo e fino ai primi anni 1950 la superficie della falda aveva conservato una posizione molto vicina al suolo, a uno o due metri di profondità, essendo alimentata dai numerosi fontanili presenti nella zona, la quale aveva allora una vocazione prevalentemente agricola. Successivamente, l’intenso sviluppo industriale e urbanistico degli anni 1950-70 diede luogo ad un crescente prelievo di acque dal sottosuolo, che impoverì gli acquiferi e causò l’abbassamento della falda, la cui superficie raggiunse a San Donato, nella prima metà degli anni 1970, la profondità di 12-15 metri dal suolo, mentre nella zona centrale di Milano scese addirittura fino a 40 metri.  In conseguenza del disseccamento e della compattazione dei terreni abbandonati dall’acqua si manifestarono inoltre locali fenomeni di abbassamento del suolo, con valori di 5 cm registrati a San Donato e di 22 cm in zona Duomo a Milano. La falda acquifera rimase depressa fino alla metà degli anni 1970, quando la dinamica si invertì bruscamente; in seguito alla chiusura di molti pozzi, dismessi in conseguenza del trasferimento nel nord milanese di molte industrie e imprese artigianali, si ebbe una drastica diminuzione dei prelievi idrici (la produzione, che era stata pari a circa un miliardo di mc/anno, si dimezzò); il calo dei prelievi, unito ad alcuni periodi di eccezionale piovosità, causò nella zona di San Donato una risalita della falda di una decina di metri; ciò avvenne tra il 1976 ed il 1993, provocando l’inondazione di molti edifici seminterrati; la risalita proseguì lentamente anche nei successivi anni 1990, tendendo poi a stabilizzarsi soltanto nel corso degli anni 2000.

Inondazione provocata
dalla risalita della falda

 

Le conseguenze della rilevante risalita della falda furono localmente aggravate dall’eccezionale sviluppo edilizio che si era verificato in precedenza, nel periodo tra i primi anni 1960 e il 1976, quando la  superficie freatica si trovava a maggiore profondità; molti edifici furono poi allagati dalla imprevista e violenta risalita delle acque. Quanto accaduto sollecitò le Amministrazione pubbliche (Regione, Provincia e Comuni) ma anche molti privati ad adottare, dapprima timidamente, poi in maniera più decisa, soprattutto dopo i primi anni 1990, qualche misura di difesa contro l’invasione delle acque sotterranee, ricorrendo a interventi di drenaggio delle stesse e al loro scarico nei canali di superficie. A San Donato costituimmo, in collaborazione con il Comune e con l’Eni, un Gruppo di studio composto da alcuni tecnici volontari, che si assunse l’impegno di raccogliere ed elaborare i dati sulla situazione idrogeologica della zona, di definire le aree più critiche e di proporre, per poi seguirne l’attuazione, un sistema di pompaggio che avrebbe dovuto comprendere una serie di pozzi e le relative condotte di scarico per l’evacuazione delle acque emunte dal sottosuolo, con la finalità di contrastare o almeno di limitare la risalita della falda. Il progetto trovò felice realizzazione nel corso del 2001, grazie al Comune di San Donato, guidato allora dal Sindaco Gabriella Achilli. Cinque pozzi di drenaggio delle acque furono ubicati nelle zone più critiche del territorio comunale; non mancarono le raccomandazioni ai tecnici di pozzo di eseguire periodicamente i controlli delle parti fini contenute nelle acque estratte, a garanzia della sicurezza delle operazioni.  Con l’avvio dei pozzi si ottenne il previsto abbassamento della superficie della falda, in accordo con i  modelli previsionali che avevamo elaborato in sede progettuale; fu così alleggerito il disagio di una buona parte dei sandonatesi.

 

 

Aree critiche per allagamenti della falda acquifera a San Donato

 

 


Installazione di un pozzo di drenaggio delle acque di falda

Altri impianti minori di pompaggio delle acque furono realizzati da gruppi condominiali privati; buona parte di questi sono ancora in attività, saltuaria o permanente, in quanto la situazione idrologica in questi ultimi tempi non ha subito variazioni di rilievo: l’allarme per la falda rimane infatti tuttora attivo, particolarmente nei periodi di intensa piovosità e in relazione agli episodi di piena del Lambro.

Per la riduzione di un rischio, di qualsiasi natura esso sia, è necessaria una conoscenza aggiornata dei relativi dati di base ed è per questo che nell’ambito del nostro Comune sono in atto, fin dal lontano 1997, la raccolta e l’esame delle registrazioni piezometriche della falda, che vengono effettuate periodicamente in alcuni pozzi prescelti; questi dati ci consentono di seguire da vicino i movimenti della superficie freatica e di rilevare eventuali anomalie e influenze provenienti da agenti esterni, quali la piovosità, gli apporti dal Canale Villoresi e da altri corsi d’acqua, l’entrata in funzione o la dismissione di nuovi punti di drenaggio, ecc.
Da queste registrazioni si è anche rilevato che i periodi di minore soggiacenza della falda si verificano con maggiore frequenza nei mesi di luglio e di novembre, e che quest’ultimo è il mese in cui sono più frequenti le piene e le esondazioni del Lambro.
Per quanto riguarda la falda, possiamo affermare che attualmente, nella maggior parte del territorio comunale di San Donato, la profondità della falda varia all’incirca tra i 5,50 e i 4 metri dal suolo, come indica la curva inferiore del grafico qui di seguito riprodotto, registrata dal piezometro denominato “Cosmocal” nel periodo luglio 2011-ottobre 2012; la profondità della falda diminuisce notevolmente avvicinandosi al Lambro, dove essa si riduce a poco più di 2 metri, come risulta dalla curva superiore dello stesso grafico, registrata nello stesso periodo dal piezometro “Paullese”. E’ un’altra dimostrazione dell’influenza che il fiume esercita sulla soggiacenza della falda. Si nota anche un netto appiattimento della curva superiore rispetto all’altra e quindi una netta attenuazione dei rispettivi valori estremi (dai 120 cm di differenza tra valore massimo e minimo a Cosmocal ai 55 cm del piezometro Paullese).

 

 


Soggiacenza della falda 2011-2012

 

Un’altra iniziativa di rilevante interesse per la sicurezza dei territori soggetti a rischio idraulico, tra questi anche San Donato, è rappresentata dal PAI, il “Progetto di piano per l’assetto idrogeologico”, che prevede la definizione areale di tre fasce di rispetto, contermini ai corsi d’acqua, alle quali fasce corrispondono precisi vincoli di natura ambientale e urbanistica. La prima fascia (A) corrisponde all’alveo ampliato del fiume e si identifica come area entro la quale avviene il deflusso delle acque di una normale piena, mentre la seconda fascia (B), esterna alla prima, corrisponde in pratica all’area entro la quale dovrebbero essere contenute le acque di  esondazione; la terza fascia (C) rappresenta infine un’area marginale che potrebbe essere invasa dalle acque soltanto in casi eccezionali; nel caso del Lambro, il periodo di ritorno per eventi di questa gravità è valutato in duecento anni, mentre le esondazioni contenibili nella fascia B hanno una frequenza valutabile intorno ai 4-5 anni.

 

 

Il Piano PAI

Schema delle fasce PAI

 

Il Comune di San Donato, dopo aver provveduto nel periodo 1998-2000 all’esecuzione lungo il fiume Lambro delle indagini previste dalle norme del PAI, ha regolarmente proposto la definizione areale delle fasce tenendo conto dei parametri idraulici del fiume, delle arginature esistenti e delle particolari caratteristiche fisiche delle aree adiacenti al corso fluviale. La suddivisione proposta dal Comune è stata poi approvata dagli enti interessati al controllo del Progetto PAI, cioè l’Autorità di bacino del fiume Po e la Regione Lombardia. Con riferimento al Lambro ricordiamo le annate in cui sono avvenute le principali esondazioni del fiume in questi ultimi decenni: 1976, 1992 e 2002; è da notare che ciascuno dei tre eventi ha causato una sensibile risalita della falda freatica.

 

 

Un Pensiero al Futuro

Ed ora, volendo pensare anche al futuro del nostro territorio, mi sembra opportuno segnalare il programma che la Regione Lombardia ha avviato qualche anno fa sotto la dizione di “Contratti di Fiume” (CdF), che ritengo molto importante per il prosieguo dei controlli sulla sicurezza idrologica della zona di San Donato; in pratica si tratta di accordi che riguardano il controllo idraulico ed il miglioramento ambientale dei principali corsi d’acqua della regione, dall’Olona al Seveso, al nostro fiume Lambro, che viene denominato ufficialmente Lambro Settentrionale. Personalmente ho potuto seguire attraverso gli anni, dal 2004 in poi, lo sviluppo e l’evoluzione di questo vasto programma di studi, al quale sono invitati ad aderire tutti gli enti pubblici territorialmente interessati. Riguardo all’adesione al CdF Lambro, confermo la mia convinzione personale sull’assoluta utilità di una partecipazione attiva del nostro Comune, non solo per il contributo che possiamo dare in favore della riqualificazione del fiume e quindi della conseguente riduzione del rischio idraulico, ma anche al fine di proteggerci da indesiderate azioni di altre parti. I Contratti di Fiume (CdF) vengono definiti da World Water Forum come forme di accordo che permettono di “adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale”.In pratica gli obiettivi del CdF Lambro sono quelli di migliorare le condizioni ambientali del bacino fluviale, con particolare riguardo alla qualità delle  acque, al comportamento idraulico del fiume e allo stato del territorio ad esso circostante.


Il Lambro alla traversa di Bolgiano

 

Fanno parte del programma degli interventi: il controllo puntuale della qualità degli sversamenti civili e industriali che vengono effettuati lungo il percorso fluviale; il controllo e l’ottimizzazione, anche mediante monitoraggio, del regime idraulico delle acque del fiume, anche al fine di ridurre i rischi di esondazione; la riqualificazione del letto fluviale e degli argini, con il proposito di assicurare il regolare scorrimento delle acque; infine, l’estensione dell’intervento di riqualificazione anche alle aree adiacenti al fiume.

 

 

Il Contratto Fiume

Nelle sue linee generali il CdF risponde essenzialmente ad alcune finalità delineate dalla Comunità Europea e dalle Nazioni Unite e può essere identificato come una serie di interventi di programmazione negoziata e partecipata, volti al contenimento del degrado eco-paesistico e alla riqualificazione del territorio di un bacino idrografico. Tali interventi possono svilupparsi in diversi contesti amministrativi e geografici, in coerenza ed armonia con le caratteristiche ambientali del territorio, anche in relazione ai bisogni e alle aspettative degli abitanti. I CdF si configurano come processi di negoziazione tra pubbliche Amministrazioni e soggetti pubblici o privati, coinvolti a diversi livelli, e si sostanziano in accordi caratterizzati dalla volontarietà e dalla flessibilità decisionali. Non hanno termine temporale prefissato, ma restano in essere fino a che rimane viva la volontà di aderire all’accordo da parte degli attori. Di estrema importanza è che da parte di questi ultimi vi sia una “visione condivisa” del bacino idrografico, in grado di guidare i
sottoscrittori del contratto all’elaborazione di un progetto coerente con i problemi e la potenzialità della zona oggetto del contratto. Essenziale per la buona riuscita del progetto è una adeguata conoscenza del territorio e una sufficiente preparazione professionale degli addetti alla fase esecutiva del progetto stesso. Nella formulazione del progetto sarà importante far emergere, nella “visione condivisa”, anche i conflitti e gli interessi, ma anche le vocazioni territoriali e le capacità di indirizzare le operazioni tenendo sempre e ben presente che tutti gli interventi hanno per oggetto il fiume e il suo bacino idrografico.
La Regione Lombardia ha per prima promosso il CdF in Italia, con la finalità di affrontare in modo integrato ed efficace le problematiche idraulico-ambientali dei bacini dei fiumi Lambro e Olona e del torrente Seveso, che si sviluppano su una vasta area compresa tra il Ticino, l’Adda e la confluenza nel Po, interessando tutte le Province lombarde.  I possibili sottoscrittori dei CdF sono gli Enti direttamente interessati ai problemi del relativo bacino idrografico e quindi i Comuni, le Province, i Parchi e qualunque altra Comunità o Organizzazione locale. Nel CdF è prevista anche l’adesione di soggetti privati, impegnati in attività operative connesse con i progetti di bacino.

 


Una piena del Lambro
 con esondazione a valle

 

Tra i principi su cui si basano i CdF viene sottolineata la necessità di uno stretto coordinamento tra gli attori istituzionali, sia nella fase di definizione dei programmi che nella realizzazione degli stessi; non dovrà inoltre mancare la collaborazione tra attori, anche mediante informazioni e scambio di studi pregressi ed esperienze, ecc.; altrettanto auspicabile sarà la condivisione degli obiettivi e la programmazione di azioni economicamente e finanziariamente realizzabili.

 

 

Obiettivi e Organizzazione del CdF

Gli obiettivi da raggiungere nell’ambito del CdF, attraverso una reale integrazione delle politiche settoriali, sono principalmente:
- la riduzione dell’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee attraverso il miglioramento degli impianti di depurazione e della rete di drenaggio urbano, nonchè la riduzione delle immissioni;
- la mitigazione del rischio idraulico, che può attuarsi sia tramite misure strutturali, cioè opere di ingegneria idraulica e manutenzione degli alvei o altro, sia mediante azioni non strutturali, quali ad esempio la previsione delle piene, i piani di protezione civile, ecc.
- la riqualificazione ambientale e paesistica dei corridoi fluviali, intesa come conservazione e potenziamento della rete ecologica naturale e come valorizzazione storico-culturale dei centri urbani legati al fiume;
- un nuovo modello di sviluppo dei territori dei bacini, più attento agli effetti ambientali e di sicurezza indotti sul sistema delle acque.
Detti obiettivi portano alla definizione dei Programmi d’Azione, che consentono di definire i progetti operativi, finalizzati alla riqualificazione paesistico-ambientale e al contenimento del degrado del bacino; a questa fase progettuale segue la richiesta dei finanziamenti per l’esecuzione delle opere.
Per quanto riguarda l’organizzazione, il CdF prevede al top un “Comitato di coordinamento”, composto dal Presidente della Giunta regionale, dai Sindaci dei Comuni sottoscrittori e dai Presidenti e Rappresentanti di altri Enti sottoscrittori, che ha il compito di approvare il Programma di azione proposto dai sottoscrittori del CdF e di sovrintendere all’attuazione.
Vi è poi un cosiddetto “Soggetto Responsabile”, un D.G. della Regione, che fa da tramite tra il Comitato di coordinamento e il Comitato Tecnico, controllando l’attuazione dei programmi e partecipando come coordinatore alle riunioni di quest’ultimo.
Seguono i “Soggetti Attuatori”, cioè i rappresentanti dei Comuni e degli altri Attori, che assicurano la realizzazione del Programma d’azione e organizzano quanto necessario all’attuazione dei progetti.
Infine il “Comitato Tecnico”, presieduto dal Soggetto Responsabile e comprendente i delegati dei Comuni (oppure un delegato per ogni gruppo di Comuni vicini), Provincie, Parchi, Comunità, ecc.; questo Comitato ha l’importante funzione di coordinare l’attuazione dei programmi con l’aiuto delle strutture tecnico-amministrative dei sottoscrittori del CdF (Comuni ed altri).
Tra gli impegni che il Comune di San Donato dovrà prevedere, quale aderente al CdF, sono ad esempio quello di partecipare alla programmazione delle azioni che saranno poi sottoposte all’autorizzazione del Comitato di Coordinamento; di reperire, anche tramite la Regione, almeno una parte del finanziamento necessario per l’esecuzione delle azioni programmate; di mettere a conoscenza del Comitato Tecnico, in accordo con gli altri Comuni vicini, la documentazione tecnica disponibile sull’area oggetto del CdF (cartografia, studi idrogeologici e ambientali, piezometrie, analisi, ecc.).
Il punto più delicato riguarda il finanziamento dei lavori da effettuare; a questo riguardo esiste un fondo regionale che viene dichiarato  “disponibile” e un fondo aggiuntivo “da reperire”.

La Roggia Fuga con acqua derivata dal Lambro per irrigazione

Conclusioni

Il Comune di San Donato Milanese, che anni fa aveva aderito al progetto Seveso, nella primavera 2012 ha sottoscritto anche l’impegno contrattuale riguardante il Lambro Settentrionale, che è di rilevante importanza territoriale, perché investe da vicino gli interessi della Comunità sandonatese.

L’obiettivo guida per la città San Donato, considerati i rischi che da anni è costretta a subire in tema di
sistema acque, dovrà essere principalmente quello di migliorare il controllo e la difesa idraulica del vicino fiume, con l’intento di ridurre e possibilmente di eliminare le esondazioni dello stesso, e nel contempo di addolcire le saltuarie fasi di piena; anche queste hanno una sensibile influenza sulle fluttuazioni verticali della falda freatica, di cui purtroppo conosciamo le permanenti minacce nei  riguardi di molti immobili di San Donato; e si può aggiungere che per il futuro le previsioni a questo riguardo non sono purtroppo favorevoli, in quanto l’evoluzione climatica in atto ormai da qualche anno è destinata ad accentuarsi, con fenomeni estremi sempre più violenti, e non potrà che aggravare l’attuale situazione, apportando quindi, negli anni a venire, nuovi e più pesanti disagi e quindi l’impellente necessità di difese sempre più valide ed energiche.

Operazioni di pompaggio dell'acqua di falda

Per quanto si riferisce alle azioni da intraprendere nell’ambito del Cdf, diviene pertanto particolarmente raccomandabile, per la difesa del nostro territorio, orientarsi in primo luogo sugli interventi di controllo idraulico del corso d’acqua (aree di laminazione e di espansione, monitoraggi continui, teleregistrazioni, ecc.), estendendone l’applicazione anche nel settore settentrionale del bacino, fino alle colline moreniche. Altre azioni possibili sono rappresentate dalla realizzazione di un sistema di monitoraggio con allertamento nel caso di rischio di esondazione; si potrebbero prevedere anche interventi di natura paesistico-ambientale nelle aree prossime al corso fluviale. Tra le azioni da programmare potrebbe essere ragionevolmente inserito un primo intervento di riqualificazione degli argini e del letto del corso d’acqua, tenendo presente che una loro,anche parziale, impermeabilizzazione favorirebbe lo scorrimento delle acque e ridurrebbe l’alimentazione della falda freatica da parte delle acque fluviali, alleggerendo i problemi ad essa connessi.
Riferendoci alle raccomandazioni del CdF stesso, potrebbe inoltre risultare utile la promozione culturale specifica, organizzando cicli di incontri di informazione per i cittadini su argomenti attinenti il Lambro e i rapporti di questo con il territorio sandonatese.

Aggiungo qualche mia osservazione personale sulla gestione del contratto in oggetto. Ricordo che in occasione della firma del CdF fu sottoscritta una delega in favore del “Parco Agricolo Sud Milano”, designato a rappresentare ufficialmente il Comune di San Donato nell’ambito del Cdf in oggetto. Tale delega, sentito il parere della Regione, non preclude assolutamente la partecipazione attiva al Comitato Tecnico di una rappresentanza del nostro Comune, anzi al contrario viene
sollecitata tale partecipazione; ciò garantisce al Comune il tempestivo intervento nelle decisioni operative fin dalla fase preliminare della programmazione. Questo è molto importante perché consente di agire senza intermediari nel controllo di azioni che potrebbero compromettere gli equilibri, soprattutto idraulici nel nostro caso, del territorio, come già accaduto in passato.
Mi riferisco alla proposta (poi fortunatamente respinta, grazie anche al nostro contributo) avanzata da un Comune del milanese che prevedeva di riversare nel nostro vicino Lambro le acque delle piene del Seveso,
procurandoci qualche guaio in più di quelli già esistenti.
Sarà inoltre opportuno concordare con la Regione e con il Parco Sud i termini e le modalità necessari per assicurare la piena e reciproca collaborazione nelle singole fasi di programmazione e di sviluppo del piano di azione, come del resto indicato dallo spirito dell’accordo contrattuale.
Un po’ di ottimismo in chiusura: io penso e spero ardentemente che il futuro ci riserverà qualche piacevole sorpresa, perché sarà più allegro, sereno e tranquillo di come noi lo immaginiamo oggi. Siamo in molti ad augurarcelo.


Pier Federico Barnaba

Dipartimento di Scienze della Terra
Università Studi di Milano
Comune di San Donato Milanese
Edizioni APVE-Eni
San Donato Milanese, Gennaio 2013

 Adattamento web a cura dello Staff RecSando

 

 

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